Ho
lasciato questo libro sul comodino
per un anno e mezzo prima di leggerlo, anzi, per la verità lo avevo subito
iniziato appena preso, ma dal momento che le prime pagine non mi avevano
entusiasmato mi ero riproposto di terminarlo più in là. E sì che i presupposti
per una buona lettura c’erano tutti: le voci che parlavano di un romanzo
stupendo, le consacrazioni dell’autore a poter essere considerato il Jeffrey
Deaver italiano, la rapidissima scalata ai vertici delle classifiche di
vendita, il fatto da non sottovalutare che alla mia compagna di vita e di
letture non era dispiaciuto (anche se non è che ne fosse rimasta proprio
entusiasta).
Ma quando il mio sesto senso librario si fa sentire, in
genere devo dargli retta.
Be’, per farla breve alla
fine l’ho letto, e l’aspetto più rimarchevole di questo fatto è che ora ne sto
ricavando un post. Per il resto, una vera
delusione.
Avevano pubblicizzato Il suggeritore come un ottimo thriller
ad alta tensione, con trovate geniali e colpi di scena sorprendenti, da leggere
tutto d’un fiato, e questo ti fa solo capire come qualsiasi notizia tu attinga dalla televisione è un’emerita
baggianata.
Il romanzo si lascia anche
leggere, storcendo il naso parecchie volte, ma al termine ti chiedi come mai
non hai deciso di sprecare il tempo in qualche altro modo, che so, una
passeggiata, per esempio. La trama è ai limiti dell’assurdo, veramente
farraginosa e campata per aria, costruita a tavolino in modo tale da creare nel
lettore un continuo succedersi di sensazioni forti, sull’onda dei romanzi di
Harris, Leane, Coben, Klavan, Wessel, Heffernan e molti altri, in pratica una
scopiazzatura degli stili di molti, ma il problema è che queste sensazioni sono
suscitate da invenzioni irragionevoli e colpi di scena al limite dell’assurdo
di quelli che anche il lettore meno smaliziato se ne esce con un ma dai, ma non
sta né in cielo né in terra!
I personaggi sono spinti da
motivazioni francamente poco credibili e i loro comportamenti sfociano in
azioni paradossali che per essere dei professionisti li fanno sembrare invece
dei veri deficienti, e la
risoluzione finale, che a detta di molte di quelle voci osannanti avrebbe fatto
realmente rabbrividire, in realtà lascia il tempo che trova, se non un senso di
liberazione per averlo finalmente terminato e poter passare a qualcosa di più
sostanzioso. E credibile, soprattutto.
L’aspetto criminologico
sarà trattato anche in modo passabile, e ci mancherebbe altro, visto che Donato Carrisi è anche un criminologo,
ma nel complesso non posso fare altro che relegare il libro tra i thriller di
terza categoria ed archiviarlo lassù, sullo scaffale più alto della mia
libreria, quello che per raggiungerlo c’è bisogno della scala.
Perlomeno ho liberato un
posto sul comodino.
Il Lettore
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