venerdì 13 settembre 2013

Un segreto non è per sempre

Alessia Gazzola, giovane medico siciliano con la passione per la scrittura, dopo l’esordio con L’allieva ha voluto bissarsi con questo Un segreto non è per sempre, duplicando così la scopiazzatura di Kay Scarpetta e arrivando persino a conferirgli quell’alone di faciloneria e pressappochismo tipico del guitto nostrano quando decide di imitare i professionisti di oltreoceano.

Anche Kay Scarpetta ti annoia dopo che ne hai lette due avventure, ma perlomeno la professionalità di Patricia Cornwell fa sì che il suo personaggio almeno si comporti come una donna, non come un concentrato di futilità.


Ricordate il post di qualche tempo fa su La lama del rasoio, nel quale tracciavo un raffronto tra prezzo di copertina e valore intrinseco del libro? Questo della Gazzola è uno di quei casi in cui il bilancio dell’operazione costi/benefici si avvicina pericolosamente al prendere a capocciate il muro più vicino.
In barba della pubblicità intessuta, delle recensioni entusiastiche pilotate e dei 17.60 euro del prezzo di copertina, il libro si merita solo l’attribuzione di uno sconfortante “pessimo” a causa dello stile da ragazzina sfarfalleggiante, insulso e superficiale, che non riesce a coinvolgere il lettore e si sofferma su particolari superflui, alla faccia della scrittura ellittica, che non ottengono altro scopo che infastidire: non c’è bisogno di spiegare che il dottor X è il superiore della protagonista, così come basta nominare i soggetti Y e Z senza attardarsi a specificare che sono le sue colleghe. Il lettore non deficiente a queste cose ci arriva da solo.
I dialoghi sono stucchevoli, pedissequi e formali; l’uso delle citazioni latine (forse per far vedere che le conosce?) è pleonastico e saccente; il riportare una finta biografia tratta da  Wikipedia (due pagine e mezzo!) per spiegare chi è un personaggio ti fa cadere le braccia; i medici che appaiono per nulla professionali nei loro comportamenti (un giovane anatomopatologo che fa consulenze psichiatriche e ne sa più dei superiori?); l’uso di ricercati (nel senso deteriore del termine) aggettivi per descrivere atteggiamenti (un cane dallo sguardo candido? Una giapponese dallo sguardo terso?); l’insistente impiego del punto esclamativo (ma a questa la stupisce tutto?); il reiterato utilizzo di esotici termini idiomatici (Tizia è un fake, Caio ha gli occhi smoky, Sempronio sta preparando uno smoothie… ma dove siamo, a Roma o in Central Park?); la giapponese che parla dapprima in un italiano stentato e dopo pochi scambi improvvisamente assimila la lingua e formula discorsi in un italiano perfetto; le considerazioni pseudo-profonde inserite tra le frivolezze, che sembra quasi ve le abbia volute cattedraticamente incastrare a forza per conferire un tono serio e compreso…
Arrivato a fatica a pagina 55, dopo aver letto di una dottoressa talmente cretina da scambiare la sua giacca con quella di un cadavere (ma che caz… dove siamo, alla neurodeliri?), non gliela faccio più e chiudo il libro senza alcun senso di rimpianto.
Posso mica stare a perdere tempo così.
Forse questo romanzo potrà soddisfare quelle ventenni la cui capacità cognitiva rivaleggia con quella di uno scarabeo stercorario, di certo non un lettore dotato di un minimo di consapevolezza.
Il Lettore 

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