Alessia
Gazzola, giovane medico siciliano
con la passione per la scrittura, dopo l’esordio con L’allieva ha voluto bissarsi con questo Un segreto non è per sempre, duplicando così la scopiazzatura di Kay Scarpetta e arrivando persino a
conferirgli quell’alone di faciloneria e pressappochismo tipico del guitto
nostrano quando decide di imitare i professionisti di oltreoceano.
Anche Kay Scarpetta ti
annoia dopo che ne hai lette due avventure, ma perlomeno la professionalità di Patricia Cornwell fa sì che il suo
personaggio almeno si comporti come una donna, non come un concentrato di
futilità.
Ricordate il post di
qualche tempo fa su La lama del rasoio,
nel quale tracciavo un raffronto tra prezzo di copertina e valore intrinseco
del libro? Questo della Gazzola è uno di quei casi in cui il bilancio
dell’operazione costi/benefici si avvicina pericolosamente al prendere a
capocciate il muro più vicino.
In barba della pubblicità
intessuta, delle recensioni entusiastiche pilotate e dei 17.60 euro del prezzo
di copertina, il libro si merita solo l’attribuzione di uno sconfortante
“pessimo” a causa dello stile da ragazzina sfarfalleggiante, insulso e
superficiale, che non riesce a coinvolgere il lettore e si sofferma su
particolari superflui, alla faccia della scrittura ellittica, che non ottengono
altro scopo che infastidire: non c’è bisogno di spiegare che il dottor X è il
superiore della protagonista, così come basta nominare i soggetti Y e Z senza
attardarsi a specificare che sono le sue colleghe. Il lettore non deficiente a
queste cose ci arriva da solo.
I dialoghi sono stucchevoli,
pedissequi e formali; l’uso delle citazioni latine (forse per far vedere che le
conosce?) è pleonastico e saccente; il riportare una finta biografia tratta da Wikipedia (due pagine e mezzo!) per spiegare
chi è un personaggio ti fa cadere le braccia; i medici che appaiono per nulla
professionali nei loro comportamenti (un giovane anatomopatologo che fa
consulenze psichiatriche e ne sa più dei superiori?); l’uso di ricercati (nel
senso deteriore del termine) aggettivi per descrivere atteggiamenti (un cane
dallo sguardo candido? Una giapponese
dallo sguardo terso?); l’insistente
impiego del punto esclamativo (ma a questa la stupisce tutto?); il reiterato
utilizzo di esotici termini idiomatici (Tizia è un fake, Caio ha gli occhi smoky,
Sempronio sta preparando uno smoothie…
ma dove siamo, a Roma o in Central Park?); la giapponese che parla dapprima in
un italiano stentato e dopo pochi scambi improvvisamente assimila la lingua e
formula discorsi in un italiano perfetto; le considerazioni pseudo-profonde inserite
tra le frivolezze, che sembra quasi ve le abbia volute cattedraticamente incastrare
a forza per conferire un tono serio e compreso…
Arrivato a fatica a pagina
55, dopo aver letto di una dottoressa talmente cretina da scambiare la sua
giacca con quella di un cadavere (ma che caz… dove siamo, alla neurodeliri?), non
gliela faccio più e chiudo il libro senza alcun senso di rimpianto.
Posso mica stare a perdere
tempo così.
Forse questo romanzo potrà
soddisfare quelle ventenni la cui capacità cognitiva rivaleggia con quella di uno
scarabeo stercorario, di certo non un lettore dotato di un minimo di consapevolezza.
Il Lettore
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