mercoledì 4 dicembre 2013

La vita degli animali

Qualche sera fa, l’affetto che provo per una mia amica mi ha fatto accettare di partecipare alla festa di compleanno di suo figlio, festa che ben presto si è trasformata in un evento situato nettamente oltre i confini della mia capacità di sopportazione.
Nonostante i cibi squisiti, principalmente due sono stati i fattori che hanno determinato il montare dentro di me della spinta ad andarmene al più presto: l’allucinante pandemonio creato dai ragazzi e la prerogativa delle mamme di saper parlare unicamente dei propri pargoli e di come vanno a scuola. Insopportabili entrambi.

Ma non potevo scappare, e di conseguenza mi sono messo a spulciare la ben fornita biblioteca dei padroni di casa fregandomene di far finta di sottostare ad un corretto comportamento sociale,  fino a che non ho incontrato questo titolo che mi ha incuriosito:


Non conoscevo Coetzee e gli animali mi interessano, di conseguenza ho preso il libro, ho cercato un angolino tranquillo (!) della casa e mi sono messo a leggere.
Dopo poco più di un’ora l’avevo terminato.
Lo scrittore John Maxwell Coetzee, sudafricano, premio Nobel per la letteratura nel 2003, come persona dovrebbe essere un tipo molto particolare. Lo scrittore Rian Alan dice di lui: “Coetzee ha un'incredibile autodisciplina e dedizione al suo lavoro. Non beve, non fuma, non mangia carne. Percorre lunghe distanze in bicicletta per tenersi in forma e ogni mattina passa almeno un'ora alla scrivania. Un collega di lavoro dice di averlo visto ridere solo una volta in dieci anni. Un conoscente ha partecipato a diverse cene in cui Coetzee non ha detto nemmeno una parola” (fonte: Wikipedia).
Mi è proprio simpatico. E poi scrive bene.
Anche se questo La vita degli animali è un libro veramente fuori dagli schemi: sotto le finte sembianze di un romanzo Coetzee ha messo in scena un inno al vegetarianesimo e un vero e proprio atto di accusa nei confronti del consumo di carne animale. Il suo protagonista, Elizabeth Costello, un’anziana e famosa scrittrice, è invitata a tenere una conferenza sugli animali nell’Università dove insegna il figlio, conferenza che lei trasformerà ben presto in un atto d’accusa nei confronti dell’industria zootecnica e del consumo di carne, sconcertando i presenti abituati al politically correct. In pratica il libro è il suo discorso, e il suo discorso il libro.
Le tematiche trattate dalla protagonista spaziano tra le varie filosofie di pensiero che si sono succedute nel tempo e le analizzano, fino a sfociare nel paragone tra l’industria zootecnica e i lager nazisti paragonando gli animali condotti al macello agli ebrei portati nelle camere a gas.
L’argomento è forte, particolarmente sentito da coloro, come me, a cui stanno a cuore le sorti degli animali e ciononostante non si sforzano di rinunciare alla carne pur ammettendo e condividendo sia la validità logico-razionale delle motivazioni che il coinvolgimento emotivo. Un libro interessante, scritto benissimo, che spazia dalle considerazioni sulla coscienza animale all’analisi del concetto teologico di come la sistematica uccisione quotidiana di milioni di animali rappresenti il peccato originale che si rinnova intorno a noi; al quale seguono (ma quelle non ho fatto in tempo a leggerle) quattro riflessioni sul tema di scienziati, filosofi ed etologi.
Un interessante risvolto psicologico è come la protagonista, alla fine del libro, sia schiacciata tra il bisogno fisiologico di esternare le sue convinzioni, e l’angoscia provocata dall’evidente incomprensione che le rivolgono i suoi ascoltatori.
Mi ha fatto venire voglia di leggere anche altri libri di Coetzee, magari provare un romanzo vero e proprio.
Il Lettore

Nessun commento:

Posta un commento