Tanto per chiarire la mia
posizione vi dico subito che il libro di oggi mi è piaciuto e parecchio.
Faccio questo preambolo
perché dopo ne esaminerò gli aspetti negativi e non vorrei che sorgessero
spiacevoli fraintendimenti: mi è piaciuto, lo ripeto, l’ho divorato in due
sere, ma leggendo questo romanzo ho trovato alcuni spunti da cui trarre
insegnamento per evitare errori in cui i principianti dello scrivere è facile
che incorrano, e dal momento che molti aspiranti scrittori seguono questo blog
ho colto l’occasione per illustrare loro un paio di concetti.
Eppure Massimo Boyer non è un principiante dello scrivere: è un biologo
marino, un esperto fotografo subacqueo e un divulgatore scientifico con
centinaia di pubblicazioni all’attivo, e Scilla
è il suo primo romanzo, una storia che intreccia la vita marcatamente
autobiografica di uno studioso dei mari con quella di una femmina di squalo
bianco che nel corso delle sue peregrinazioni viene a partorire nel
Mediterraneo.
Come mia consuetudine, per non
togliere il piacere della lettura, non vi dirò nulla della trama e tantomeno
della conclusione della vicenda, fatto sta che Boyer è riuscito a costruire una
storia dotata di una consistente dose di tensione narrativa con uno stile
fluido e accattivante, aiutato in questo dalla narrazione in prima persona e
dal ritmo colloquiale che incuriosisce il lettore e lo spinge di continuo ad
andare avanti.
Ma l’autore fa di più:
unisce alla storia romanzata un vero e proprio Manifesto dei diritti degli abitanti marini, in particolare degli
squali, impiegando le sue conoscenze sulla biologia marina per sfatare i falsi
miti dei quali il cinema sensazionalistico di pellicole come Lo squalo ci ha impregnato. Da questo
libro emerge potente una figura dello squalo ridimensionata, ricondotta dagli
aspetti mitizzati a quelli reali, reincorniciata nel suo aspetto più pratico di
animale predatore necessario all’ecosistema marino e che invece al momento
rischia l’estinzione per essere oggetto di una pesca indiscriminata che va
solamente a favore del guadagno economico di società senza scrupoli.
Nei capitoli in cui Boyer
si cala in mare raccontandoci della vita di Scilla si avverte tutto l’amore che
l’autore prova per le creature sottomarine e l’ambiente subacqueo, e che riesce
a trasmettere al lettore utilizzando quella tecnica molto particolare del
narrare in seconda persona singolare:
“Risali lentamente dall’oscuro abisso…
l’acqua fredda si apre al tuo passaggio e ti scorre attorno…”, così poco
usata ma che, qualora sia utilizzata bene come in questo caso, riesce a
comunicare sensazioni fresche e immediate.
Tra gli episodi riguardanti
il protagonista umano e le tappe del viaggio di Scilla tra Canale di Sicilia e Tirreno, la storia si dipana
inframmezzata da una vera e propria opera di divulgazione scientifica da cui
traspare, fatti alla mano, la condanna delle più o meno legali politiche di
pesca portate avanti negli oceani di tutto il mondo.
Ma pur essendo un
professionista della scrittura scientifico-divulgativa, purtroppo Boyer incappa
in alcuni errori da “principiante
entusiasta della propria opera”, che poco tolgono al piacere della lettura,
intendiamoci, ma che può essere utile rimarcare ad uso e consumo degli
aspiranti scrittori desiderosi di ricevere utili dritte. Il fatto di essere caduto negli errori che
dirò è in buona parte colpa anche della casa editrice: probabilmente il testo non
è stato revisionato da un editor
capace che si sarebbe accorto di alcune incongruenze e avrebbe saputo
convincere l’autore a correggere il tiro e rendere il romanzo ancora più
gradevole di come sia stato licenziato alle stampe.
In pratica, lasciando fare
all’autore, gli si è permesso di cadere nel pleonasmo, nella ridondanza, nel
dire “troppo” a scapito della capacità immaginativa del lettore.
Un buon editor, per esempio, avrebbe eliminato
le note a fondo pagina, che in un romanzo stonano terribilmente e distraggono
dalla storia. Marcare i riferimenti alle spiegazioni ci può stare, del resto
qualcuno può anche sentire il bisogno che gli si spieghi cos’è un “palamito” o una “nursery area”, ma le note a pié di pagina possono essere
giustificate solo nei romanzi didattici per le scuole medie e manco tanto.
Meglio radunarle in appendice e che la pagina sia riempita solo dalla storia. Un
romanzo deve essere un romanzo, non si può rischiare che il lato divulgativo
prenda il sopravvento.
Alcuni dialoghi,
soprattutto nei capitoli iniziali, sono un po’ “legnosi”, sanno di artificiale
e manca loro quella naturalezza che li fa scorrere via come fossero reali (ma
la situazione migliora con il procedere della storia); così come non si può
mettere così, di punto in bianco, in maniera incongrua con il resto dal punto
di vista del layout, un capitolo nel
quale i dialoghi sono preceduti dall’iniziale del parlante, neanche fosse uno scritto
per il teatro: la revisione del testo fatta da un professionista non l’avrebbe
lasciato passare.
Ultima cosa: Vincenzo Cerami definisce “talpe” quei
personaggi inutili che non si capisce a quale scopo siano stati inseriti e che
non apportano alcunché di importante ai contenuti della narrazione. Un Boyer
pieno di entusiasmo di queste talpe
ne crea ben due, per inserire un tocco di thrilling
in un capitolo quasi scritto apposta per loro: un buon editor gliele avrebbe uccise subito, non consentendo nemmeno una
loro nascita sulla carta stampata.
Comunque
poche cose, come dicevo, che poco tolgono ad un’opera interessante, che si
legge bene e che consente di comprendere meglio un ecosistema dal quale ci
separa soltanto un diverso modo di
respirare.
Il Lettore