lunedì 3 marzo 2014

Open – La mia storia

È da quando è uscito in Italia, nel 2011, che questo libro non esce dalla classifica dei cento più venduti. Oscilla, sale, scende, poi risale, attualmente è intorno all’ottantesimo posto ma non si decide ad andarsene, e questo è un chiaro indice di un testo che vale.

Personalmente l’ho divorato, e l’ho piazzato sullo stesso piano della biografia di Steve Jobs di Walter Isaacson. Preparatevi, di questo Premio Pulitzer proprio in questi giorni sto leggendo Einstein (mi ci vorrà un po’… sono seicento pagine scritte fitte e zeppe di concetti di fisica teorica: non credo che ce la farò a finirlo per domani).


Anche se la copertina di Open – La mia storia riporta un falso plateale: non è che Andre Agassi abbia scritto la propria autobiografia, come si è portati a credere, in realtà se l’è fatta scrivere dall’altro giornalista e Premio Pulitzer J. R. Moehringer (perdonatemi, ma non sono riuscito a trovare i nomi per esteso da nessuna parte). In effetti, la mano di un professionista si sente, e dubito che Agassi avrebbe mai potuto scrivere da solo un libro così bello se, come ammette lui stesso,  la scuola e la lettura non sono mai state tra le sue priorità.
Ed è proprio la priorità riservata esclusivamente al tennis, che l’ha fatto diventare ciò che è diventato. Spinto da un padre coercitivo a dedicarsi esclusivamente a rilanciare palle al di là della rete, il bambino che era, e che odiava il tennis, è riuscito ad arrivare a essere il numero uno del ranking mondiale tra sofferenze e patimenti sia fisici che psicologici. In tutte le quasi cinquecento pagine del libro emergono proprio i sentimenti contraddittori che hanno caratterizzato la vita del tennista, insieme ad un’infinità di episodi e di aneddoti simpatici anche per chi non è interessato al gioco.
Fatto sta che Moehringer è riuscito benissimo a narrare della vita di uno che nel corso della sua esistenza non ha fatto altro che correre dietro ad una pallina cercando di colpirla con una racchetta (e possibilmente di farla arrivare sul terreno di là dalla rete e di qua dalla linea), senza renderla noiosa, e per ottenere questo scopo ha pigiato parecchio l’acceleratore sul lato umano, sui sentimenti e sui pensieri del protagonista. Quando, in un periodo infausto della sua vita, Agassi veniva battuto quasi in ogni incontro che sosteneva, mi accorgevo leggendo di provare del disappunto: mi dispiaceva per lui, speravo che il periodo negativo finisse al più presto, e ciò significa che l’autore è riuscito nell’intento di far appassionare il lettore al suo personaggio.
La mano del romanziere di professione si nota di più a tratti, quando gli accadimenti della vita di Agassi gli hanno consentito di arricchire la narrazione con episodi che si prestavano bene ad essere romanzati. Ad esempio nell’ultimo capitolo, a carriera terminata, quando Agassi e sua moglie Steffi Graf decidono di fare due scambi per divertimento in un campo pubblico di New York come due dilettanti qualsiasi, Moehringer è bravo a sottolineare invece come i due tutto siano meno che dilettanti, e tantomeno sconosciuti.
Veramente un bel libro, che si legge con interesse fino alla fine.
Probabilmente, per quanto nella classifica delle mie priorità il gioco del calcio sia ancora di gran lunga al di sotto della tecnica di piegatura degli asciugamani, se fosse scritta da un Moehringer o da un Isaacson riuscirei a leggere anche la biografia di Pelè.
Il Lettore 

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