martedì 12 agosto 2014

La ragazza di carta

Questo di Guillaume Musso è un romanzo che può piacere solo a lettori decerebrati, di quelli che non hanno mai visto mondo in vita loro e soprattutto che non hanno mai letto un libro come si deve.

La cosa che non finirà mai di stupirmi sono i milioni di copie vendute, e ciò sta a significare che di gente dai gusti pessimi al mondo ce ne sta tanta. Dopo gli ultimi due buoni romanzi che ho letto questo è stato come il dessert rancido che rovina un buon pranzo.


Brutto, ma proprio brutto.
Ho veramente faticato a terminarlo, saltando spesso anche interi paragrafi o leggendone solo l’inizio, ma ho voluto arrivare in fondo per capire senza dubbio alcuno in quale abisso di abiezione ha voluto gettarsi l’autore.
Vogliamo parlare dello stile? Ributtante. Veramente banale, fatto di aggettivazioni non necessarie (l’imponente auto sportiva… il tavolo giavanese in tek…), di melense metafore trite e ritrite (la nostra adolescenza mi tornò in mente con la forza lacerante di un boomerang…), di continue, inutili precisazioni, come specificare che Kind of blue è un capolavoro del jazz composto da Miles Davis, alla faccia dell’ellisse. E il bello è che il protagonista lo specifica a se stesso visto che la narrazione, o perlomeno una parte di essa, è in prima persona. Come se io pensassi tra me e me: bene, in questo momento mi va proprio di sentire il fantastico Heavy Weather, il disco registrato nel 1977 dai Weather Report il cui mitico bassista Jaco Pastorius (che però di nome si chiamava John Francis Anthony) è morto in seguito all’emorragia cerebrale conseguente a un pestaggio subito fuori di un bar della Florida. A Fort Lauderdale, per la precisione. E quello che l’ha pestato si chiamava Luc Havan. Costui era il buttafuori del locale e…
E volendo potrei continuare con i perché e i percome, ma è assolutamente ridicolo: quando ascolto un album non mi metto a rammentare a me stesso questi particolari. A meno che io non sia un autore saccente che vuole soddisfare un determinato tipo di pubblico ignorante e poco pretenzioso.
E la saccenteria continua con: 1) le citazioni all’inizio di ogni capitolo che distolgono l’attenzione dalla vicenda (ma questo potrebbe anche essere un bene…); 2) le ulteriori citazioni sul leggere o sullo scrivere delle quali è infiorettato tutto il testo; 3) lo specificare la collocazione di ogni scena a scena già iniziata, utilizzando una formattazione in grassetto fuori paragrafo; 4) il far girovagare senza scopo i personaggi per tutto il mondo come a dire guarda quanti posti conosco! (salvo che poi magari per documentarsi se li è andati a cercare su google maps).
Un romanzo costituito da una banalità dietro l’altra, alternate a trovate che non stanno né in cielo né in terra e condite da episodi che vorrebbero essere strappalacrime se non fosse che si sente che sono falsi come una banconota da 12 euro (tanto per restare in tema di metafore scontate) e costruiti apposta per emozionare gli sprovveduti. Situazioni surreali, quasi fantascientifiche (della fantascienza brutta, però…) come quando nel bel mezzo di una serie di tragedie viene in mente ad un personaggio che dovrebbe cambiare la carta da parati (che tra l’altro non si usa più da decenni).
Oltretutto l’autore fa esattamente ciò che nei miei corsi sconsiglio di fare: di ogni personaggio che entra in scena ne descrive fattezze, vestiario, trascorsi biografici e pensieri, provocando unicamente una noia infinita.
Tra l’altro da qualche parte del libro ho incontrato un tipo di refuso mai visto prima: “no,n” al posto di “non”.
Basta. Resta il fatto che una puttanata del genere ha venduto milioni di copie, e questo ti fa chiedere se alla fine non abbia ragione lui a scrivere così.
Il Lettore

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