Ho letto diversi libri di Luis Sepulveda, a partire da quel Il vecchio che leggeva romanzi d’amore
con il quale lo scrittore cileno è diventato famoso, e devo dire che nella
maggior parte dei casi i suoi scritti mi sono piaciuti, forse perché ho trovato
nel loro stile un allontanamento da quella matrice sudamericana che in diversi
altri autori mi annoia verso una tecnica più marcatamente europea, e questo probabilmente
a causa dell’esilio al quale Sepulveda è stato costretto e che gli ha fatto
passare una buona parte della sua vita al di fuori della sua patria.
Diciamo subito che questo Ingredienti per una vita di formidabili
passioni non è un romanzo, ma una serie di considerazioni dell’autore sulla
propria vita e su fatti che gli sono successi. Una specie di biografia in 27
capitoli, dalla passione adolescenziale per il calcio e i primi innamoramenti, attraverso
l’impegno politico e l’amicizia con poeti e scrittori, alle lotte dalla parte
dei lavoratori contro il capitalismo e i distruttori dell’ambiente, per finire
con il ritorno in famiglia a gioire di figli e nipoti.
Be’, certo, quando uno
conosce Salvador Allende, cresce con
Pablo Neruda, dialoga con Josè Saramago, è amico di Gabriel Garcia Màrquez, riceve lezioni di sceneggiatura da Tonino Guerra e conduce una vita
impegnata in viaggio per mezzo mondo, è facile che di fatti che interessano i
lettori ne abbia diversi da raccontare, ma in ogni caso bisogna sempre saperlo
fare, e si deve ammettere che Sepulveda lo sa fare talmente bene che molto
spesso durante la lettura ci si sente indignati, oserei dire incazzati neri,
per come l’autore dipinge le situazioni politiche, a partire da quella cilena fino
a quella spagnola (sembra di essere in Italia, ma lasciamo perdere la politica
che il lettore eccetera eccetera). Sepulveda attacca senza pietà i regimi
totalitari, i politicanti corrotti, le multinazionali che rigirano i governi
come pare a loro (vedi il termine “politicanti corrotti”), i criminali
distruttori dell’ambiente e tutti coloro che sfruttano il lavoro altrui, e
proprio a riguardo di quest’ultimo punto l’autore insiste sul significato del proprio lavoro, svolto in nome del
lavoratore umile e sconosciuto, quel “fare letteratura” che dovrebbe significare
il dare voce a chi non ha voce.
Le riflessioni sulla crisi
economica e sulle sue cause sono istruttive e i ricordi della dittatura subìta
dai suoi compatrioti angoscianti, ma nel resoconto c’è posto anche per le gioie
che si possono trovare in seno alla famiglia, o per le bellezze struggenti del
deserto di Atacama, o per la dolcezza del ricordo di un amico a quattro zampe o
dei primi amori.
Insomma, con questo libro
di ricordi si ride (poco), ci si commuove (un po’ di più), ci si incazza
(spesso), e si impara qualcosa. Molto meglio di una gabbianella e di un gatto
qualsiasi.
Il Lettore
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