Finora non ho mai recensito Daniel Pennac, pur avendo letto
parecchi dei suoi libri. Anni fa avevo cominciato la saga di Malaussène dalla seconda avventura e
subito ero corso a prendere la prima puntata e quindi tutte le successive, e Come un romanzo mi aveva quasi
entusiasmato, per non parlare di Abbaiare
stanca e La lunga notte del dottor
Galvan.
Uno in gamba, il Pennac. Uno che sa scrivere. Quindi potrà sembrare
strano che per inaugurare le recensioni sui suoi libri io abbia scelto l’unico suo
che non mi sia piaciuto. Ma non c’è
una ragione in particolare, se non il fatto che è l’ultimo che ho letto.
Qualcuno potrà anche dire che
non sono stato capace di capirlo, al ché potrei ribattere che Pennac non ha
saputo farsi capire bene, fatto sta che ho trovato Ecco la storia noiosissimo, tanto da non averlo nemmeno terminato.
Sì, possiamo andare a
ricercare il romanzo nel metaromanzo
(o viceversa), possiamo individuare le diverse facce dello scrittore, i ruoli,
i personaggi, nei diversi sosia di questo esotico Dittatore, e possiamo anche
cercare di farci piacere gli interscambi tra fantasia e realtà, tra vita vera e
invenzione, ma certo che se lo scrittore ce lo avesse raccontato con qualche
migliaio di parole in meno forse il tutto sarebbe stato più godibile.
Forse Pennac ha voluto
metterci troppo senza riuscire a farsi capire in pieno, o parlando di se stesso
è scivolato sullo strafare, o non ha voluto fare altro che divertirsi tenendo
in poca considerazione il piacere
del lettore.
Mi domando: se ciò che Pennac
intendeva dire veramente comincia ad apparire solo dopo cinquanta o sessanta
pagine, tutto questo popò di tediosissima introduzione, che ce l’ha messo a
fare? Per farci arrivare ormai sfiniti a quando secondo lui dovrebbe cominciare
il bello?
Il Lettore
Nessun commento:
Posta un commento