Ed eccoci all’ultimo romanzo
di Alessandro Baricco, pubblicato in
questo 2015 del quale per fortuna stiamo per arrivare alla fine. Quando mi
accingo alla lettura di un nuovo Baricco non so mai cosa aspettarmi. Mi
piacerà? Mi stuferà? Non posso considerare il torinese come un Child col quale
vai sempre a colpo sicuro: se rileggete le mie recensioni precedenti su di lui
troverete che siamo pressappoco alla pari tra letture soddisfacenti e romanzi
piantati a metà, peggio che tirare una monetina.
Vi tolgo subito dalle
ambasce: stavolta mi è piaciuto.
Certo è che La Sposa giovane non è un romanzetto
semplice e chiaro ma anzi, un inno all’ellisse e al “lasciato immaginare”. Di
sicuro nella sua Scuola Holden
Baricco spiegherà il concetto di contestualizzazione
e di quanto questa sia necessaria, ma quando scrive lui stesso allora si può
andare tranquillamente fuori dalle regole: in questo romanzo nessuno possiede
un nome proprio al di fuori del maggiordomo Modesto (personaggio eccezionale, che si esprime preferibilmente a
colpi di tosse e ripreso dal più puro Wodehouse); sia la localizzazione
geografica della vicenda che quella temporale sono lasciate nel vago, e la
storia della famiglia di cui si narra è limitata solo agli episodi strettamente
necessari all’evoluzione del racconto.
I personaggi sono indicati
solo dal proprio ruolo: il Padre, la Madre, il Figlio, la Figlia, lo Zio,
ognuno con le proprie virtù, i propri bizzarri problemi e particolarità che
vengono man mano descritti in modo da permettere loro di interagire ognuno a
suo modo con la Sposa, questa nuova figura anch’essa enigmatica che si trova ad
entrare all’improvviso in una famiglia sui
generis.
Non che con questo si senta
che manchi qualcosa, anzi, il romanzo è piacevole
e intrigante, con i personaggi che pur nella loro vaghezza sono ben
caratterizzati e una conclusione soddisfacente.
Certo è che bisogna leggerlo
con attenzione: dopo le prime pagine ci si trova un po’ spaesati dalla
variazione continua dell’io narrante,
cosa che Baricco stesso spiega con queste parole:
“Ad
esempio avrei dovuto riferire al vecchio amico come scrivendo della Sposa
giovane mi succeda di cambiare più o meno bruscamente la voce narrante, per
ragioni che lì per lì mi sembrano squisitamente tecniche, e tutt’al più
blandamente estetiche, con l’evidente risultato di complicare la vita al
lettore, cosa di per sé trascurabile, ma anche con un fastidioso effetto di
virtuosismo che in un primo momento ho perfino cercato di combattere,
arrendendomi però poi all’evidenza che semplicemente io non riuscivo a sentire
quelle frasi se non facendole scivolare in quel modo, come se il solido
appoggio di una voce narrante chiara e distinta fosse qualcosa a cui non
credevo più, o che era diventato per me impossibile apprezzare.”
Ma una volta che si è entrati
in questo modo di fare lo si apprezza e la lettura scorre senza intoppi, anche
grazie alla raffinatezza dello stile
e della prosa sui quali proprio non c’è nulla da criticare. I dialoghi,
inseriti alla McCarthy senza segni interpuntivi, scorrono fluidi e il
comportamento dei personaggi è coerente con la loro rappresentazione, compresi
quei segni particolari distintivi di ognuno che contribuiscono in modo
sostanziale a far sì che rimangano impressi nella memoria del lettore.
Ma quello che Baricco chiama
“fastidioso effetto di virtuosismo”
si sente eccome. Quelle ragioni “squisitamente tecniche” sono le stesse nelle
quali Baricco si crogiola all’atto dello scrivere, perché dal romanzo emerge in
continuazione tra le righe anche il concetto del: “ecco, guardate bene, imparate, è così che si scrive…”, e per
carità, a parte quel po’ di vanagloria sottilmente ostentata, non gli si può
dire proprio nulla d’altro. Chissà cosa ne avrebbe pensato Grazia Cherchi, di queste intrusioni dell’autore nel proprio
romanzo. Ma già, non è che Baricco abbia mai seguito del tutto le indicazioni di
quella che è stata uno dei suoi primi editor
(se lo avesse fatto, magari, il suo Castelli
di rabbia sarebbe stato forse meno noioso), tanto è vero che anche a
distanza di anni il suo rapporto con gli editor
non è cambiato: “Ovviamente, paginette
come queste parranno all’editor che si occuperà di loro, tra qualche mese, del
tutto inutili e tristemente poco funzionali al decorso del racconto. Con la
consueta educazione, mi suggerirà di cancellarle. So già che non lo farò, ma
fin d’ora posso ammettere di non avere più probabilità di lui di farla giusta.”
Il ché indica la
consapevolezza del: so bene che “questo”
non andrebbe fatto, ma io lo faccio
lo stesso perché io sono Alessandro Baricco. E soprassediamo sul fatto che il
complicare la vita al lettore sia una cosa trascurabile…
La
Sposa giovane resta
comunque un bel romanzo, una lettura che non lascia delusi e che solleva degli
interrogativi sui temi trattati che sono quelli dell’accettazione della morte e
del proprio destino. Anche le frequenti incursioni nell’erotismo sono
realizzate con una finezza scevra da moralismi e contribuiscono al mantenimento
dello stato di tensione creato dal non sapere quale sarà la fine di questa
promessa sposa, personaggio che mi ha ricordato il tenente Drogo di Buzzatiana memoria, nella continua attesa di un nemico che
non arriverà mai.
Ma per fortuna, e questo è il
bello della Letteratura, la Sposa
giovane non farà la stessa fine di Giovanni
Drogo.
Il Lettore
Nessun commento:
Posta un commento