Ancora una volta mi colpisce
la frase riportata in copertina per pubblicizzare questo romanzo di Jonathan Kellerman, frase che in questo
caso si riferisce ai due investigatori protagonisti del libro e li paragona
nientedimeno che a Sherlock Holmes e
al suo fido Dottor Watson. Nel caso
in esame, Milo Sturgis è un tenente
della omicidi di Los Angeles e Alex
Delaware, oltre che vestire i panni dell’io narrante, cioè di colui che
racconta la storia, è un docente di psicologia
che aiuta Sturgis nelle sue indagini.
Il paragone tra le due coppie
mi ha colpito perché ha sottolineato una volta di più come uno scrittore abbia
bisogno della figura della spalla
per consentire al protagonista di essere raccontato. Avete mai visto Watson
fare qualcosa di concreto? Intervenire in maniera sostanziale in un’indagine di
Holmes? Prendere un’iniziativa? Io non mi ricordo. Sta lì solo per consentire a Holmes di parlare e a porgli domande le cui
risposte chiariranno al lettore molte situazioni.
Così Delaware. Il narratore
di questo romanzo di Kellerman sta lì solo
a guardare e a raccontare. Non fa mai nulla
se non permettere a Sturgis di abbuffarsi approfittando del proprio frigorifero.
Né Sturgis sembra essere particolarmente illuminato dai dialoghi con Delaware
per giungere alla risoluzione del caso.
Una spalla perfetta, un
anodino gentiluomo che svolge la sua funzione senza essere invadente. Il fatto
è che Delaware non è Watson, così come Sturgis è ben lontano dall’essere un Holmes.
Quindi per favore lasciamo
perdere l’originalità della coppia. Hap
e Leonard sono avanti anni luce.
Con questo non voglio dire
che questo L’inganno non meriti,
anzi, mi ha soddisfatto abbastanza e
l’ho considerato una buona lettura pur non essendo un capolavoro. Ma la trama
si regge, i personaggi sono sufficientemente caratterizzati e non ci sono cali
di tensione sostanziali.
Il romanzo si legge benissimo
grazie al ritmo molto veloce dovuto soprattutto all’abbondanza di dialoghi:
tutta l’indagine su un omicidio è condotta dai due investigatori solamente parlando con le persone interessate,
che siano testimoni, parenti, amici o colleghi della vittima, altri poliziotti,
delinquenti, emarginati, prostitute, studenti o rappresentanti del potere
economico di LA, e solamente “intervistando” una marea di persone i due
giungono alla soluzione del caso, senza stonature narrative o improvvise
rivelazioni piovute dal cielo tipiche del romanzetto di quart’ordine. I
dialoghi reggono, sono cuciti su misura per i singoli parlatori e sono
sufficientemente intelligenti da non far storcere il naso a un lettore
smaliziato.
Cosa vuoi di più? Nella
catasta dei libri da leggere ne ho un altro dello stesso autore, e ben presto
mi metterò a leggere anche quello con lo spirito un po’ sollevato: perlomeno
ora so che Kellerman scrive in modo decente.
Il Lettore
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