giovedì 10 marzo 2016

L’inganno

Ancora una volta mi colpisce la frase riportata in copertina per pubblicizzare questo romanzo di Jonathan Kellerman, frase che in questo caso si riferisce ai due investigatori protagonisti del libro e li paragona nientedimeno che a Sherlock Holmes e al suo fido Dottor Watson. Nel caso in esame, Milo Sturgis è un tenente della omicidi di Los Angeles e Alex Delaware, oltre che vestire i panni dell’io narrante, cioè di colui che racconta la storia,  è un docente di psicologia che aiuta Sturgis nelle sue indagini.
Il paragone tra le due coppie mi ha colpito perché ha sottolineato una volta di più come uno scrittore abbia bisogno della figura della spalla per consentire al protagonista di essere raccontato. Avete mai visto Watson fare qualcosa di concreto? Intervenire in maniera sostanziale in un’indagine di Holmes? Prendere un’iniziativa? Io non mi ricordo. Sta lì solo per consentire a Holmes di parlare e a porgli domande le cui risposte chiariranno al lettore molte situazioni.
Così Delaware. Il narratore di questo romanzo di Kellerman sta lì solo a guardare e a raccontare. Non fa mai nulla  se non permettere a Sturgis di abbuffarsi approfittando del proprio frigorifero. Né Sturgis sembra essere particolarmente illuminato dai dialoghi con Delaware per giungere alla risoluzione del caso.
Una spalla perfetta, un anodino gentiluomo che svolge la sua funzione senza essere invadente. Il fatto è che Delaware non è Watson, così come Sturgis è ben lontano dall’essere un Holmes.
Quindi per favore lasciamo perdere l’originalità della coppia. Hap e Leonard sono avanti anni luce.



Con questo non voglio dire che questo L’inganno non meriti, anzi, mi ha soddisfatto abbastanza e l’ho considerato una buona lettura pur non essendo un capolavoro. Ma la trama si regge, i personaggi sono sufficientemente caratterizzati e non ci sono cali di tensione sostanziali.

Il romanzo si legge benissimo grazie al ritmo molto veloce dovuto soprattutto all’abbondanza di dialoghi: tutta l’indagine su un omicidio è condotta dai due investigatori solamente parlando con le persone interessate, che siano testimoni, parenti, amici o colleghi della vittima, altri poliziotti, delinquenti, emarginati, prostitute, studenti o rappresentanti del potere economico di LA, e solamente “intervistando” una marea di persone i due giungono alla soluzione del caso, senza stonature narrative o improvvise rivelazioni piovute dal cielo tipiche del romanzetto di quart’ordine. I dialoghi reggono, sono cuciti su misura per i singoli parlatori e sono sufficientemente intelligenti da non far storcere il naso a un lettore smaliziato.
Cosa vuoi di più? Nella catasta dei libri da leggere ne ho un altro dello stesso autore, e ben presto mi metterò a leggere anche quello con lo spirito un po’ sollevato: perlomeno ora so che Kellerman scrive in modo decente.
Il Lettore 

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