Questo romanzo è ispirato a
un gatto realmente esistito, di nome
Jordan, che è diventato famoso per
aver eletto a propria residenza per molti anni nientemeno che la Biblioteca di
Edimburgo.
Anche il protagonista di
questo libro, G.B., ha scelto come
casa una biblioteca, e in più i libri li legge e li ammucchia conservandoli nel
suo angolino privato, a cui ha dato il nome orrendo di “Gattacolo” (ma forse questa è colpa del traduttore), nel
quale inoltre invita amici e sparge topi mezzi mangiucchiati, ma sono sicuro
che anche il vero Jordan avrebbe finito
col disapprovare la sua esistenza.
Checché ne dicano le
recensioni su vari siti (è ovvio che le case editrici non possono che parlar
bene dei libri che pubblicano, e le gattare
non possono che andare in sollucchero in modo assolutamente indiscriminato quando
sentono nominare la parola gatto), questo romanzo è di poco meno brutto di come ha saputo scrivere sui gatti Licia Colò. Se volete fare il paragone,
la mia recensione su quello della Colò la trovate qui.
Alex
Howard (che probabilmente è
giovane e non è un Grande Lettore — né un gattaro esperto —, altrimenti non
avrebbe scritto tante ovvietà) ha voluto infilare in questo romanzo talmente
tante banalità sui gatti da farti
perdere ben presto la voglia di proseguire, infiocchettandole, tanto per
rendere il tutto più melenso, con altrettante banalità sulla letteratura, senza peraltro mai andare a fondo del
perché ha inserito il tale nome o la tale citazione. Gli autori nominati man
mano, e nei quali il gatto sembra trovare perle di saggezza, non sono ridotti
ad altro che stereotipi: famosissimi (Nietzsche, Joyce, Orwell…) e per questo
conosciuti anche da chi non legge, come sembra essere l’autore di questo libro,
che non specifica mai il cosa il
gatto ha letto e il perché.
La ridondanza di retorica e di luoghi comuni mi ha
costretto a interrompere la lettura più o meno allo stesso livello di quello
della Colò, dopo essermi reso conto che con il proseguire non sarebbe
migliorato. Gatti che amano farsi carezzare dietro le orecchie… originale, una
mestolata di Nutella sarebbe meno
stucchevole.
Peccato, un’idea che avrebbe
potuto essere carina irrimediabilmente rovinata dalle sdolcinature.
Che la gatta che amo sia rustica e poco socievole (proprio come il
padrone) lo so perfettamente, e forse è solo un leggero risentimento quello che
provo nel leggere che G.B. starebbe
giornate intere a farsi carezzare dietro le orecchie: il tempo impegnato in
quest’attività che la mia a malapena sopporta
è sempre inferiore di una frazione di
secondo di quello che io ho voglia di concederle, con il risultato di
ritrovarmi sempre con le dita che
fanno i “grattini” sfettucciate fino
all’osso.
Anche se nel tempo ho imparato
a velocizzare i miei riflessi.
Ma non abbastanza da poter battere
una gatta stronza.
Il Lettore gattofilo
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