mercoledì 1 novembre 2017

Il cinese a fumetti

Come avrete di certo cominciato a sospettare, il vostro Freereader è interessato da una molteplicità di argomenti, e quando posso cerco di approfondire.
Uno di questi argomenti sono le lingue straniere, che al giorno d’oggi sono indispensabili. Io leggo molto bene l’inglese, quasi come se fosse italiano, ma non ho mai avuto occasione di parlarlo e quindi stendiamo un velo pietoso sulla faccenda. Leggo benino anche spagnolo, francese e tedesco, ma non tanto da potermi gustare dei romanzi in lingua originale come invece faccio con l’inglese. Basta. Avrei serie difficoltà a fare il “chiappino” di straniere in Piazza Grimana, per intenderci. A parte l’età.
E a parte il fatto che di fronte all’Università per Stranieri oggi come oggi non ci sono più quelle frotte di stanghe alte e biondissime come c’erano una volta, ma ci trovi più che altro africane nere come la pece e miriadi di morette tappette con i capelli lisci e gli occhi a mandorla.
Se un tempo in tutto il mondo la lingua dominante era il greco, sostituita con l’espandersi di Roma dal latino, quindi dal tedesco e poi dall’inglese, probabilmente tra poco per avere qualsiasi tipo di rapporto internazionale sarà indispensabile conoscere il cinese.
Abituatevi all’idea.




Lingua che oltretutto non utilizza l’alfabeto al quale siamo assuefatti, ma una sorta di geroglifici strani al posto delle lettere che noi usiamo di solito, chiamati logogrammi o morfemi, che simboleggiano concetti o cose. Per fare un esempio, la parola “uomo”, come “persona” o “essere umano”, in cinese si dice nàn rén (si pronuncia con qualcosa di simile a nàiièi), e si scrive disegnando due gambe senza una testa, un qualcosa che assomiglia alla lettera greca lambda, così:



In pratica un omino molto (ma molto) stilizzato. Per quanto poco io sappia disegnare forse sarei capace di scriverlo anch’io, e che i cinesi mi perdonino se mi è scappato qualche sfondone. A parte il fatto che in cinese il significato della parola può cambiare in funzione dell’intonazione con cui questa si pronuncia.
Per cui comprenderete quanto sia rimasto incuriosito quando alla Biblioteca delle Nuvole ho visto, sullo scaffale degli ultimi arrivi, questo Il cinese a fumetti di Stefano Misesti, nel quale l’autore, che lavora a Taiwan, ha cercato di raccontare, come già aveva fatto in un blog, le difficoltà di risiedere in uno stato che non parla e tanto meno scrive la tua lingua.
Me lo sono portato a casa per dargli un’occhiata e in un paio d’ore l’ho letto. Adesso potrei anche sostenere una conversazione costruttiva con una morettina di Shangai.
Mica ci avrete creduto? No, di quello che ho letto non ho assimilato praticamente nulla, neanche come si dicono o scrivono i numeri: 1, 2, 3, 4 eccetera. Ah sì, l’1 è un trattino orizzontale: —, stop. Non basta proprio questo fumetto per imparare qualcosa di questa lingua così lontana dai nostri schemi mentali, ma ne costituisce un simpatico avvicinamento.
In ogni pagina, con una sequenza quasi random, viene illustrato un termine con la sua grafia cinese (sia tradizionale che semplificato) e la relativa pronuncia, spiegando anche i problemi relativi all’intonazione.
Il tratto del disegno è semplice e molto iconico, in modo da generalizzare il più possibile. Nella tavola seguente si può osservare come si dice in cinese la parola “albero”, e l’intuitiva transizione a “bosco” con l’onomatopèa mucchesca per illustrarne la pronuncia.



Di grammatica quasi non se ne parla: già è difficile così, non andiamo a complicare le cose, please.
Non so quanto un libretto del genere possa essere veramente utile se uno è costretto a imparare il cinese, ma perlomeno Misesti ci ha provato. Più che altro si potrebbe considerare una curiosità, un approccio laterale simpatico e intrigante per chi ha un interesse di qualche tipo nei confronti di questa lingua parlata da più o meno un miliardo e mezzo di persone.
E scusa se è poco.
Il Lettore poliglotta (o perlomeno ci prova)

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