Come avrete di certo
cominciato a sospettare, il vostro Freereader
è interessato da una molteplicità di
argomenti, e quando posso cerco di approfondire.
Uno di questi argomenti sono
le lingue straniere, che al giorno
d’oggi sono indispensabili. Io leggo molto bene l’inglese, quasi come se fosse
italiano, ma non ho mai avuto occasione di parlarlo e quindi stendiamo un velo
pietoso sulla faccenda. Leggo benino anche spagnolo, francese e tedesco, ma non
tanto da potermi gustare dei romanzi in lingua originale come invece faccio con
l’inglese. Basta. Avrei serie difficoltà a fare il “chiappino” di straniere in
Piazza Grimana, per intenderci. A parte l’età.
E a parte il fatto che di
fronte all’Università per Stranieri oggi
come oggi non ci sono più quelle frotte di stanghe alte e biondissime come c’erano una volta, ma ci trovi più che altro
africane nere come la pece e miriadi di morette tappette con i capelli lisci e
gli occhi a mandorla.
Se un tempo in tutto il mondo
la lingua dominante era il greco,
sostituita con l’espandersi di Roma dal latino, quindi dal tedesco e poi
dall’inglese, probabilmente tra poco per avere qualsiasi tipo di rapporto
internazionale sarà indispensabile conoscere il cinese.
Abituatevi all’idea.
Lingua che oltretutto non
utilizza l’alfabeto al quale siamo assuefatti, ma una sorta di geroglifici
strani al posto delle lettere che noi usiamo di solito, chiamati logogrammi o morfemi, che simboleggiano concetti o cose. Per fare un esempio, la
parola “uomo”, come “persona” o
“essere umano”, in cinese si dice nàn
rén (si pronuncia con qualcosa di simile a nàiièi), e si scrive disegnando due gambe senza una testa, un
qualcosa che assomiglia alla lettera greca lambda,
così:
In pratica un omino molto (ma
molto) stilizzato. Per quanto poco io sappia disegnare forse sarei capace di
scriverlo anch’io, e che i cinesi mi perdonino se mi è scappato qualche
sfondone. A parte il fatto che in cinese il significato della parola può cambiare
in funzione dell’intonazione con cui
questa si pronuncia.
Per cui comprenderete quanto
sia rimasto incuriosito quando alla Biblioteca
delle Nuvole ho visto, sullo scaffale degli ultimi arrivi, questo Il cinese a fumetti di Stefano Misesti, nel quale l’autore,
che lavora a Taiwan, ha cercato di raccontare, come già aveva fatto in un blog, le difficoltà di risiedere in uno
stato che non parla e tanto meno scrive la tua lingua.
Me lo sono portato a casa per
dargli un’occhiata e in un paio d’ore l’ho letto. Adesso potrei anche sostenere
una conversazione costruttiva con una morettina di Shangai.
…
Mica ci avrete creduto? No,
di quello che ho letto non ho assimilato praticamente nulla, neanche come si
dicono o scrivono i numeri: 1, 2, 3, 4 eccetera. Ah sì, l’1 è un trattino
orizzontale: —, stop. Non basta
proprio questo fumetto per imparare qualcosa di questa lingua così lontana dai
nostri schemi mentali, ma ne costituisce un simpatico avvicinamento.
In ogni pagina, con una
sequenza quasi random, viene illustrato
un termine con la sua grafia cinese (sia tradizionale che semplificato) e la
relativa pronuncia, spiegando anche
i problemi relativi all’intonazione.
Il tratto del disegno è
semplice e molto iconico, in modo da
generalizzare il più possibile. Nella tavola seguente si può osservare come si
dice in cinese la parola “albero”, e l’intuitiva transizione a “bosco” con l’onomatopèa mucchesca per illustrarne la
pronuncia.
Di grammatica quasi non se ne
parla: già è difficile così, non andiamo a complicare le cose, please.
Non so quanto un libretto del
genere possa essere veramente utile se uno è costretto a imparare il cinese, ma
perlomeno Misesti ci ha provato. Più che altro si potrebbe considerare una
curiosità, un approccio laterale
simpatico e intrigante per chi ha un interesse di qualche tipo nei confronti di
questa lingua parlata da più o meno un miliardo e mezzo di persone.
E scusa se è poco.
Il Lettore poliglotta (o
perlomeno ci prova)
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