lunedì 1 gennaio 2018

Il gigante sepolto

Della serie “bisogna pensare positivo”, cominciamo il 2018 con una stroncatura.
Mi trovo un po’ in imbarazzo a scrivere questo post. Un po’ perché parlar male del romanzo di un premio Nobel è una faccenda già di per sé scottante, un po’ perché di Kazuo Ishiguro ne avevo già parlato molto bene in occasione di altri suoi libri che avevo recensito e quindi mi sembra di offendere la mia coerenza, e infine perché tutte le recensioni che ho letto in rete su Il gigante sepolto ne parlano magnificamente.
A quanto pare io sono l’unica persona al mondo alla quale questo romanzo non è piaciuto. Ma proprio per niente, non l’ho neanche terminato: l’ho piantato quasi a metà. E allora, visto che tutti gli altri lo hanno giudicato un romanzo superbo, sarò io ad avere qualcosa che non funziona?
Dovrò farmi visitare?




Ma a saper leggere tra le righe, in tutti quei commenti entusiasti si riscontrano spesso alcune parole particolari che mi hanno lasciato pensare come in realtà il mio giudizio non fosse così tanto lontano da una possibile verità accuratamente mimetizzata: una narrazione delicata… un romanzo emozionale… un sublime stile desueto… un libro di sensazioni… atmosfere oniriche
Vi racconto una scenetta. Qualche sera fa ho partecipato a una cena aziendale nel corso della quale hanno servito un risotto allo zafferano. Presentazione magnifica, con un’abbondantissima pioggia di sottili filamenti rossi a guarnire la pietanza. Splendido. Lo assaggio e rimango perplesso. Terminato di mangiare il piatto mi chino verso il mio vicino di sedia e gli domando: «Come ti è sembrato?». Lui ci pensa un po’ e mi risponde: «Molto delicato».
«Bello era bello, ma per me non sapeva di un cazzo» ribatto io, al che tutti i maschi della tavolata sono esplosi. È vero! È vero! Hai ragione! Non sa di niente! Lo volevo dire anch’io! Non ha nessun sapore! Che delusione! Ma nessuno aveva avuto il coraggio di dirlo per primo.
Questo per dire che l’uso di determinate parole molte volte non serve ad altro che a camuffare i pensieri reali di chi è chiamato in causa. Vuoi per diplomazia, per vergogna, per paura di dire una stronzata, perché “non sta bene” e basta. Si cercano allora termini che girino intorno alla sostanza senza mai affrontarla di petto. “Delicato” è uno dei più diffusi. Si può dire di tutto: di un romanzo, di un piatto, di un colore, di un quadro, di una poesia, di una creazione architettonica. Non hai detto nulla di concreto, e nessuno potrà accusarti di avere parlato male di quella determinata cosa.
Io invece sono un vero e proprio becero, ho scarsissimo tatto e diplomazia assente del tutto. Se penso una cosa prima o poi la esterno, e questo non contribuisce a far lievitare il numero delle mie amicizie. Ma pazienza.
Ho trovato Il gigante sepolto una vera e propria sega.
Noiosissimo, tanto da costringermi ad abbandonarlo per puro e semplice tedio. Nella prima metà del libro non succede assolutamente nulla: ci sono queste due persone anziane, immerse in atmosfere nebbiose e pure sofferenti di amnesie, che dopo alcuni capitoli di nulla partono alla ricerca del figlio senza che sia dato di sapere le ragioni per le quali lo stesso è via e il perché si sono decisi a cercarlo. Tra le nebbie dei paesaggi e della memoria viene raccontato (con un linguaggio che era di moda un centinaio di anni fa, e quindi in uno stile da alcuni definito “desueto”) il loro viaggio, nel quale non succede assolutamente nulla, e poi… basta, a metà libro l’ho piantato perché di tutto quel nulla non ne potevo proprio più.
Non dico che un romanzo dovrebbe essere fatto di azione, ma perlomeno una qualsiasi cosa falla succedere. Non puoi continuare a parlare del nulla più assoluto sperando nella benevolenza del lettore che solo alla fine capirà, forse, quanto sei stato bravo. Se ci arriva.
Ma ripeto, tanti lo hanno trovato un romanzo da non poterne fare a meno, e non voglio pensare (lo penso, lo penso…) che siano stati così ipocriti perché “non sta bene” parlare male di un Premio Nobel (che poi non sarebbe l’unico: mi viene in mente Dario Fo e la sua pessima biografia di Lucrezia Borgia). Sicuramente sarò io che non avrò saputo capirlo, che non ho avuto la pazienza necessaria a proseguire, che non ho saputo cogliere la “delicatezza” dell’insieme.
Colpa mia, me ne assumo tutte le responsabilità. Kazuo Ishiguro rimane un grande e lo testimoniano gli altri libri di cui invece ho parlato bene. Lui non ha assolutamente fatto uno scivolone, è colpa mia se non ho saputo apprezzarlo.
E poi c’è sempre la possibilità che io abbia veramente qualcosa che non va.
Il Lettore 

Nessun commento:

Posta un commento