Se un libro appena
pubblicato conquista subito la vetta
delle classifiche dei bestsellers,
ciò significa che è firmato Camilleri o Malvaldi o Brown eccetera, oppure che
gli è stata imbastita sopra una massiccia campagna pubblicitaria, o che
l’autore è transitato da Fazio. Dell’effettiva qualità di questi fenomeni
editoriali poi si può discutere a lungo e non di rado se ne può legittimamente
dubitare.
Ma quando un libro
(pubblicato nel 1965!) oggi si arrampica
faticosamente lungo la classifica partendo dalle ultime posizioni, 87… 82…,
per risalire pian piano, 76…, settimana dopo settimana, 71… 65…, posto dopo
posto, 55… 48…, in un lungo lasso di tempo, 41… 34…, un po’ quel che è successo
alla biografia di Andrè Agassi, 32…, anche senza arrivarne mai
in cima, 24… 21…, allora ciò vuol dire che è in atto un vero passaparola, che
richiede tempo, un reale tamtam, non quegli autoincensamenti che troppo spesso
si leggono sulle fascette pubblicitarie (ci avete fatto caso che per lo più
sono gialle?) che avvolgono i volumi.
Ecco: Stoner fa parte della seconda categoria. Ovvero: come trasformare
una mediocre normalità in un capolavoro.
Ho seguito l’ascesa di
questo romanzo di John Edward Williams
per alcuni mesi, prima di decidermi ad acquistarlo, leggendone anche alcune
recensioni sul web e rimanendone
incuriosito per la qualità che ne emergeva pur ammettendo, tutti i recensori,
che nella trama non accade nulla di particolarmente esaltante. E di fatto il
libro non è altro che il racconto della vita mediocre di tale William Stoner,
professore di letteratura presso l’Università del Missouri, la biografia
romanzata di un alter ego dell’autore, la biografia di una vita “normale”, ma
che proprio in quanto tale, e grazie alla maestrìa dello scrittore, raccoglie
in sé le storie di una smisurata quantità di persone “normali”, insieme a tutti
i loro drammi e i loro tormenti interiori a volte mai espressi.
È vero, nel romanzo non
succede nulla, se si eccettuano gli accadimenti “normali” di una vita: nascita,
formazione, amore, matrimonio, morte. Ma l’abilità dell’autore fa sì che questi
fatti siano inseriti come veri e propri colpi di scena, siano mostrati con una tecnica superiore che richiama
alla mente Faulkner e Steinbeck (dei quali peraltro Williams è coevo), lasciando
libero il lettore di trarne qualsiasi considerazione egli voglia.
Un romanzo semplice ma
poliedrico, che proprio perché mostra,
e non dice, permette al lettore di
esplorare l’introspezione psicologica del protagonista senza che l’autore ne
suggerisca la direzione, e rimane quindi aperto ad una quantità variegata di
interpretazioni al punto che lettori diversi possono trarne insegnamenti
diversi. L’autore non dice mai che un personaggio è “cattivo”, ma la malignità
emerge prepotente dal suo comportamento.
“Aveva una figura dritta e snella e occupava lo spazio con discrezione.”
Una semplicità scritta con
una delicatezza assoluta: come non
rimanere incantati dalle immagini che appaiono al lettore quando un personaggio
è descritto in questo modo? Quel “con discrezione”
apre una serie infinita di angolazioni, e ognuno può trovarci quella che
secondo lui è l’essenza della persona descritta.
Vi riporto un passo della
postfazione di Peter Cameron, che riesce a descrivere meglio di me le
sensazioni che ti assalgono quando affronti questo libro:
“A
oggi ho letto Stoner tre volte e non
sono del tutto certo di averne colto il segreto… La prima volta che l’ho letto
sono rimasto sbalordito dalla qualità della scrittura, dalla sua pacatezza e
sensibilità, dalla sua implacabile chiarezza abbinata a un tocco quanto mai
delicato… La seconda volta che l’ho letto sono stato contento di ritrovare il
romanzo immutato… Ora che l’ho riletto per la terza volta mi pare che
quest’ultima sia stata la più emozionante e significativa.”
Un libro che di sicuro
anch’io rileggerò ancora.
Il Lettore