“Mia
madre mi lecca tutto scrupolosamente, mi lava con la sua lingua umida, mi
libera dalle prime pulci che già hanno nidificato nell’inguine. Non mi è
rimasto molto nella memoria di quei lontani primordi di consapevolezza, di
quando ancora non sapevo di essere un ratto e l’immaginazione, non ancora
sopita, non presentiva e non spiegava niente.”
Alcuni pensatori sostengono
come il cercare di immedesimarsi nei
pensieri di un animale per un umano sia impossibile, in quanto ritengono
che tutt’al più una persona possa riuscire ad immedesimarsi in un se stesso che
“cerca” di provare ciò che prova l’animale. Il concetto è interessante e
probabilmente corretto: in molti scritti in cui l’autore si pone nei panni di
un animale come io narrante infatti,
si riscontra un’antropomorfizzazione (in pensieri o atteggiamenti) che ben
presto attenua la sospensione dell’incredulità da parte del lettore.
Ciò si può riscontrare
anche in romanzi peraltro scritti benissimo, vedi L’arte di correre sotto la pioggia (link), nel quale, per esigenze
narrative, l’animale protagonista tende un po’ troppo a somigliare ad una
persona vera e propria.
Memorie
di un ratto è uno di
quei romanzi in cui ciò succede in minor misura.
L’hanno paragonato al Cuore di tenebra di Joseph Conrad per l’orrore che riesce a
suscitare, hanno tirato in ballo Edgar
Allan Poe per fornire una misura di questo orrore e dell’inquietudine che
ti prende mentre lo stai leggendo.
E non è nemmeno
lontanamente ipotizzabile un accostamento con il Firmino di Sam Savage,
storia di un topo bibliofilo fortemente antropomorfo, condita di quella
malinconia e di quell’umorismo che in questo romanzo sono totalmente assenti
per lasciare il posto ad una crudezza spietata.
Andrzej
Zaniewski è riuscito
molto più di tanti altri a compenetrarsi nella coscienza di una bestiaccia a
noi fortemente invisa come un ratto, raccontandone in prima persona tutta la
biografia dalla nascita alla morte e tenendo in primissimo piano per tutto il
romanzo quelle che sono secondo lui le necessità fondamentali dell’animale:
istinto di sopravvivenza e impulso alla riproduzione.
“Il profumo della carne
di maiale mi riempie le narici. Mi scelgo il maiale più grosso, pesante, quasi
immobile, gli salgo da dietro sulla groppa, squarcio a morsi la pelle, mangio.
Mi aggrappo con gli unghielli al suo dorso e affondo i miei morsi nel suo lardo
saporito, pulsante e sanguinolento. Caldo sangue cola giù lungo la pelle.”
Fin dalla nascita il
protagonista è ossessionato dalla ricerca del cibo, impara ad uccidere
qualsiasi essere vivente gli capiti a tiro, anche i suoi simili più indifesi; è
spinto ad accoppiarsi con qualsiasi femmina gli passi vicino, persino la sua
stessa madre; ed il tutto mentre cerca disperatamente di mantenersi in vita
evitando nemici naturali e trappole innescate dall’uomo. Transita attraverso
un’esistenza di paura vissuta in luoghi che definiremmo immondi, tra odori
nauseanti ed escrementi di ogni tipo, terrori di ogni genere, sofferenze
inimmaginabili, fino a terminare la sua vita sgozzato dal rivale che aveva
preso possesso del nido dove lui era nato.
Libro tosto. Permeato di particolari anche
raccapriccianti, di dettagli materiali, di sangue, di odori, di paura, di
tensione.
E’ la storia di un ratto,
ma anche, nelle intenzioni dell’autore, una scioccante allegoria della vita
umana che ci viene spiattellata crudelmente da Zaniewski stesso nelle pagine
della postfazione: “Memorie di un ratto non è solamente un libro sugli animali,
anche se un simile modo di interpretarlo potrebbe essere plausibile. Al
contrario, si tratta di un racconto sulle leggi che governano la società, […]
Pertanto ti prego, egregio lettore, di non dimenticare che, descrivendo in modo
particolareggiato e naturalistico la vita del ratto, pensavo a te.”
Il Lettore
ti ho citato qui:
RispondiEliminahttp://stanlec.blogspot.it/2015/07/memorie-di-un-ratto-andrzej-zaniewski.html
Ne ho preso atto, grazie.
Elimina