venerdì 19 giugno 2015

Il giorno più lungo

Quando ti trovi a passeggiare per la sconfinata distesa di sabbia di quella che fu chiamata Omaha Beach durante la bassa marea, non puoi impedire che i tuoi pensieri scivolino sulla retorica. Non puoi fare a meno di immaginare quale apocalisse debba essere stata quella stessa battigia all’alba del 6 giugno 1944, e puoi provare solo a ipotizzare la quantità di sangue, sofferenza, tragedia, eroismo e disperazione di cui è intrisa quella sabbia sulla quale stai camminando.
E sì che la giornata di agosto è splendida, intorno a te francesi, inglesi e tedeschi stanno facendo il bagno tutti insieme e ti sembra un controsenso, come il fatto che tu ti stringa al corpo la giacca a vento con entrambe le braccia perché è un freddo della madonna e da buon italiano non riesci a capacitarti di come tutta quella gente riesca a stare a mollo seminuda nella Manica senza congelare. Ma questo con il libro di oggi non c’entra nulla, l’ho messo solo per sdrammatizzare.




Quest’anno il 6 giugno è passato in sordina. Del resto era solo il settantunesimo anno dopo lo sbarco in Normandia, e la cifra tonda del decennale è passata via l’anno scorso. Ma come ogni inizio giugno ho ripreso in mano il libro e ne ho sfogliata qualche pagina a caso, a omaggiarne l’autore e i protagonisti reali lontani nel tempo. Del resto, da quante volte l’ho letto, lo conosco quasi a memoria. “Mi creda, Lang, le prime ventiquattr’ore dell’invasione saranno decisive… la sorte della Germania è legata a quelle ore… per gli Alleati, e per la Germania, sarà il giorno più lungo.” Se qualcuno me lo avesse chiesto, gli avrei anche saputo rispondere che questa citazione delle parole del Feldmaresciallo Edwin Rommel dalle quali è tratto il titolo si trova a pagina 6.
Tra tutti i numerosi trattati che sono stati scritti sullo sbarco in Normandia ― solo nella mia libreria ce ne sono quattro, compreso l’esaustivo D-Day di Stephen E. Ambrose – questo di Cornelius Ryan è sicuramente il più piacevole da leggere. La ragione è semplice: senza tralasciare l’inquadramento storico, gli antefatti e le fasi di preparazione a quella battaglia annunciata, viste dalla parte di entrambe le forze in gioco, Ryan racconta la cronistoria degli avvenimenti di tutta la giornata riportando centinaia di testimonianze dirette che conferiscono umanità a tutto il libro, consentendo al lettore di potersi immedesimare nei singoli personaggi. Per raccogliere questi squarci di vita, e di morte, Ryan ci ha messo più di dieci anni, intervistando migliaia di ex-soldati e civili, tanto che il libro è uscito solo nel 1959 e subito ne è stato tratto l’omonimo film del 1962, in uno splendido bianco e nero e con protagonisti una miriade di attori fra i più famosi dell’epoca.
Dico solo questo: chi non ha ancora letto questo libro dovrebbe farlo al più presto.
La nebbia si diradava e l’orizzonte si riempiva di navi, come per magia, navi di ogni tipo e dimensione, che manovravano tranquillamente avanti e indietro, come se fossero lì da ore. Sembravano migliaia. Una ‘armada’ spettrale sorta dal nulla. Il respiro corto, impietrito, Pluskat non credeva ai suoi occhi, più emozionato di quanto fosse mai stato. In quel momento il mondo del buon soldato Pluskat cominciò a crollare. Ricorda che in quei primi momenti capì con certezza che ‘era la fine della Germania’. (…) Block chiese: «Dove si dirigono queste navi?» Col telefono in mano, Pluskat si girò, guardò fuori dal bunker e rispose: «Diritto su di me
Il maggiore Werner Pluskat ebbe la fortuna di salvare la pelle e di poter raccontare in seguito quei momenti direttamente a Ryan. È certo comunque che chiunque sia passato per quella che è stata la più grande operazione militare della storia non può dimenticarsene con facilità. Già oggi, vedere gli ancora evidenti crateri provocati dalle bombe sulla Pointe du Hoc, o le pareti interne dei bunker annerite dai lanciafiamme, o passeggiare tra le sconfinate distese di lapidi bianche del cimitero di guerra di Colleville sur mer procura un’emozione struggente. Non puoi fare a meno di pensare che su ogni metro quadro che calpesti ci ha sofferto e ci è morto qualcuno.
E quando esci con un groppo in gola dal cimitero americano il pensiero ti si proietta nel futuro ― non tanto in là, a soli 29 anni da oggi ―, a quel 6 giugno 2044 quando potrà essere aperta la Scatola del tempo sepolta da Churchill e Eisenhower proprio lì a Colleville, per la curiosità di sapere che cosa avranno lasciato a testimonianza di una delle più grandi tragedie dell’umanità.
Speriamo di arrivarci.
Il Lettore

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