Evidentemente, l’amica che mi
aveva consigliato di leggere Jo Nesbø c’è
rimasta molto male quando ha visto la recensione che ho scritto un paio di mesi
fa su L’uomo di neve (vedi qui), perché
l’altro giorno, quando ci siamo incontrati per un caffè, ha tirato fuori dalla
borsa questo Sangue e neve e me lo
ha consegnato in maniera formale dicendo “Voglio
sentire cosa ne pensi di questo…”.
Va bene, a parte tutta questa
neve nei titoli accetto comunque la sfida, del resto quel romanzo che non
mi era piaciuto l’avevo scelto a caso tra le opere di Nesbø ed è possibile che
io non abbia avuto fortuna.
Vediamo stavolta…
Sangue
e neve, uscito nel 2015, è
uno degli ultimi thriller di Nesbø e
non fa parte della serie con protagonista Harry
Hole. Il protagonista narrante è un killer
che vuol sembrare imbranato ma non lo è poi così tanto e alla fine risulta
anche simpatico: nonostante sia una persona senza scrupoli (anche se dotata di
una certa moralità), il lettore è portato a parteggiare per lui quando
circostanze che non posso raccontarvi, altrimenti vi toglierei il gusto di
leggerlo, lo portano a dover combattere contro i capi di due delle
organizzazioni criminali più potenti di Oslo, uno dei quali è il suo stesso
datore di lavoro.
A differenza del precedente,
questo mi è piaciuto: un romanzo agile
e di lettura velocissima perché costituito quasi interamente di azione nel più
classico stile pulp. Ci sono
sparatorie, morti ammazzati, sesso violento e sesso romantico, sangue, intrighi,
tradimenti a catena e anche un po’ di sentimentalismo, e in questo caso
l’autore non sfocia nell’esagerazione esasperata che criticavo nell’altro
romanzo ma si attiene a invenzioni quasi del tutto plausibili.
Lo stile è scarno ed essenziale, con descrizioni
limitate allo stretto indispensabile e intervalli tra un’azione e l’altra
riempiti con le riflessioni del protagonista più che altro incentrate su se
stesso, sui suoi amori e sulle vicende che lo hanno condotto ad essere quello
che è diventato.
Avrei da esternare qualche considerazione
sulla fine del romanzo, non
necessariamente negativa, intendete, ma non la posso fare perché dovrei
rivelarvi i vari colpi di scena che si susseguono nelle ultime pagine e, come
dicevo prima, se lo facessi ― l’assassino
è il maggiordomo! ― vi darei tutti i motivi per sputarmi in faccia.
Ok, d’accordo, questo mi è
risultato più gradito del precedente e ha fatto riacquistare qualche punto
all’autore norvegese, contenta?
Il Lettore