Adorabile come sempre, sabato pomeriggio il mio editor mi ha costretto invitato
ad accompagnarla ad assistere a un incontro con uno scrittore
famoso che doveva aver luogo in un paesino sperduto della Valnerina.
“Cosa vuoi che siano, settanta o ottanta chilometri?”, mi ha detto per convincermi.
Nel suo candore, lei non tiene mai nella minima considerazione il tempo necessario per i tragitti ― le
sembra sempre di avere a disposizione il teletrasporto
di Star Trek ―, le condizioni della strada e quelle del tempo.
Dopo esserci sciroppati un’ora e mezzo di curve e controcurve
sotto una pioggia battente siamo
arrivati in questo posticino incantevole,
non fosse stato per l’acqua, paesino arroccato su un monte con annesso castello
del tutto ristrutturato, con gusto, una volta tanto, che la conferenza era già
iniziata. Ci siamo accomodati insieme alle altre ventotto persone già sedute e
ci siamo messi ad ascoltare lo scrittore
che da solo, tra pareti affrescate nel punto in cui all’epoca doveva essere
ubicato l’altare dell’antica cappella del castello, stava già parlando di sé.
Trenta persone. Ho subito
pensato che fossero veramente poche
per un autore della levatura di colui che avevamo di fronte.
Sì, perché quello seduto al
posto dell’altare non era proprio come si suol dire l’ultimo arrivato.
Non era un qualsiasi
vincitore di uno Strega né un professorone pompato né uno di quelli che
vanno artatamente di moda, ma uno dei due scrittori italiani che oggi vendono di più in assoluto,
meritatamente, uno dei due italiani che scrivono nel modo più piacevole. Colui che avevo di fronte era
uno degli scrittori che apprezzo maggiormente, di cui attendo con apprensione
ogni nuova pubblicazione e che finora non mi ha mai deluso, e che nel tempo è
quasi diventato un tormentone di
questo blog.
Nonostante sia napoletano.
Avete indovinato, stavo ascoltando,
di pirsona pirsonalmente come direbbe
l’altro dei due, proprio il creatore del Commissario
Ricciardi: Maurizio De Giovanni.
Che poi mi sono chiesto come un
artista del suo calibro possa essere capitato a parlare in quel posto sperduto di fronte a una platea così risicata, che sembrava di essere alla
presentazione di uno dei miei libri,
ma va be’.
Siamo arrivati proprio nel
momento in cui De Giovanni aveva cominciato a narrare qual è stato il suo percorso per arrivare a essere uno
scrittore famoso: un racconto che vince
un concorso; la telefonata di un agente letterario che gli propone la
pubblicazione di uno dei romanzi che lui sicuramente
avrà già avuto nel cassetto; l’esaurimento immediato di tutta la prima tiratura
de Il senso del dolore; le
telefonate di altre case editrici e produttori cinematografici per assicurarsi i
diritti degli “altri” romanzi sicuramente
contenuti nel cassetto; il ciclo delle stagioni, il ciclo di Pizzofalcone e
così via.
Il tutto raccontato in modo
molto simpatico e cordiale. Come lui
stesso ci ha detto, il fatto era che oltre a quel primo racconto De Giovanni nel
cassetto non aveva proprio nulla,
nessun altro racconto, tantomeno romanzi, e di conseguenza quel primo libro che
gli avevano promesso di pubblicare se lo è dovuto scrivere da zero in fretta e
furia. A detta sua non è stato difficile, del resto doveva solo ampliare quel
primo racconto, e dopo aver “bluffato” spudoratamente con chi glielo richiedeva
ci ha messo meno di un mese per scriverlo e offrirgli un prodotto finito. Che poi
ha avuto il successo che ha avuto. Da bancario a scrittore di successo: voilà!
Che sia stato così facile lasciatemene
dubitare un pochino. Così come sul fatto che scrivere sia così facile come poi
ci ha detto. Per esserci passato, mica per altro. Una verità assoluta invece è venuta fuori quando ha ammesso di essersi
messo a scrivere solo dopo essere stato per anni un lettore “professionista”, confermando così il dogma che per poter scrivere bisogna prima saper leggere.
Ma in quel momento il
racconto è stato piacevole e ci poteva anche stare, e lo scrittore ha saputo
rendere l’incontro molto naturale e spontaneo,
non lesinando sulle battute spiritose, sul dialetto e sugli aneddoti di vita
vissuta, da quelli che ha già riportato in alcuni libri alla gente che lo ferma
per strada e lo accusa brutalmente di trattare male alcuni suoi personaggi,
alle persone anziane che lo spronano a far pubblicare al più presto una nuova avventura
di Ricciardi per potersela gustare prima che la morte le colga.
E in modo simpatico ha anche
risposto alle domande del pubblico sulla psicologia dei suoi personaggi
comprese quelle di coloro, e ce ne sono sempre, che amano più sentir blaterare
se stessi che ascoltare il protagonista dell’incontro, e quelle dei tifosi di
calcio che di suo hanno letto solo Il
resto della settimana.
Un paio d’ore passate in modo
piacevole con una persona interessante.
E di questo devo ringraziare il mio editor
per avere insistito a partecipare. Nonostante la napoletanità. Tra le altre
cose De Giovanni ha tenuto a specificare come una città unica come Napoli, dove
a distanza di un metro trovi a convivere realtà del tutto differenti tra loro,
sia una fonte inesauribile di spunti per qualsiasi scrittore. Posso anche
crederci, ma questo non cambia di una virgola la mia opinione.
Alla fine sono stato anche
tentato di andare a stringergli la mano e complimentarmi
con lui ma, avendolo visto attorniato dai presenti e non essendo affetto da
ansia di protagonismo, ho pensato bene di risparmiargli ulteriori banalità e ci
siamo apprestati ad affrontare un’altra ora e mezzo di curve e pioggia.
Teletrasporto:
magari!
Lo Scrittore
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