Della serie “bisogna pensare positivo”,
cominciamo il 2018 con una stroncatura.
Mi trovo un po’ in imbarazzo a scrivere questo post. Un
po’ perché parlar male del romanzo di un premio Nobel è una faccenda già di per
sé scottante, un po’ perché di Kazuo
Ishiguro ne avevo già parlato molto bene in occasione di altri suoi libri che avevo recensito e quindi mi sembra di offendere la mia coerenza, e infine
perché tutte le recensioni che ho
letto in rete su Il gigante sepolto
ne parlano magnificamente.
A quanto pare io sono l’unica persona al mondo alla quale
questo romanzo non è piaciuto. Ma
proprio per niente, non l’ho neanche terminato: l’ho piantato quasi a metà. E
allora, visto che tutti gli altri lo hanno giudicato un romanzo superbo, sarò io ad avere qualcosa che non funziona?
Dovrò farmi visitare?
Ma a saper leggere tra le
righe, in tutti quei commenti entusiasti si riscontrano spesso alcune parole particolari che mi hanno
lasciato pensare come in realtà il mio giudizio non fosse così tanto lontano da
una possibile verità accuratamente mimetizzata: una narrazione delicata… un romanzo emozionale… un sublime stile desueto… un libro di sensazioni… atmosfere oniriche…
Vi racconto una scenetta.
Qualche sera fa ho partecipato a una cena aziendale nel corso della quale hanno
servito un risotto allo zafferano.
Presentazione magnifica, con un’abbondantissima pioggia di sottili filamenti
rossi a guarnire la pietanza. Splendido. Lo assaggio e rimango perplesso.
Terminato di mangiare il piatto mi chino verso il mio vicino di sedia e gli
domando: «Come ti è sembrato?». Lui ci pensa un po’ e mi risponde: «Molto
delicato».
«Bello era bello, ma per me
non sapeva di un cazzo» ribatto io, al che tutti i maschi della tavolata sono
esplosi. È vero! È vero! Hai ragione! Non sa di niente! Lo volevo dire anch’io!
Non ha nessun sapore! Che delusione! Ma nessuno aveva avuto il coraggio di
dirlo per primo.
Questo per dire che l’uso di determinate parole molte volte non serve
ad altro che a camuffare i pensieri reali di chi è chiamato in causa. Vuoi per
diplomazia, per vergogna, per paura di dire una stronzata, perché “non sta
bene” e basta. Si cercano allora termini che girino intorno alla sostanza senza
mai affrontarla di petto. “Delicato” è uno dei più diffusi. Si può dire di
tutto: di un romanzo, di un piatto, di un colore, di un quadro, di una poesia,
di una creazione architettonica. Non hai detto nulla di concreto, e nessuno potrà accusarti di avere parlato male
di quella determinata cosa.
Io invece sono un vero e
proprio becero, ho scarsissimo tatto e diplomazia assente del tutto. Se penso
una cosa prima o poi la esterno, e questo non contribuisce a far lievitare il
numero delle mie amicizie. Ma pazienza.
Ho trovato Il gigante sepolto una vera e propria sega.
Noiosissimo, tanto da costringermi ad abbandonarlo per
puro e semplice tedio. Nella prima
metà del libro non succede assolutamente nulla:
ci sono queste due persone anziane, immerse in atmosfere nebbiose e pure
sofferenti di amnesie, che dopo alcuni capitoli di nulla partono alla ricerca del figlio senza che sia dato di sapere
le ragioni per le quali lo stesso è via e il perché si sono decisi a cercarlo.
Tra le nebbie dei paesaggi e della memoria viene raccontato (con un linguaggio che
era di moda un centinaio di anni fa, e quindi in uno stile da alcuni definito
“desueto”) il loro viaggio, nel quale non succede assolutamente nulla, e poi… basta, a metà libro l’ho
piantato perché di tutto quel nulla
non ne potevo proprio più.
Non dico che un romanzo
dovrebbe essere fatto di azione, ma perlomeno una qualsiasi cosa falla
succedere. Non puoi continuare a parlare del nulla più assoluto sperando nella benevolenza del lettore che solo
alla fine capirà, forse, quanto sei stato bravo. Se ci arriva.
Ma ripeto, tanti lo hanno
trovato un romanzo da non poterne fare a meno, e non voglio pensare (lo
penso, lo penso…) che siano stati così ipocriti perché “non sta bene”
parlare male di un Premio Nobel (che poi non sarebbe l’unico: mi viene in mente
Dario Fo e la sua pessima biografia di
Lucrezia Borgia). Sicuramente sarò
io che non avrò saputo capirlo, che non ho avuto la pazienza necessaria a
proseguire, che non ho saputo cogliere la “delicatezza” dell’insieme.
Colpa mia, me ne assumo tutte
le responsabilità. Kazuo Ishiguro
rimane un grande e lo testimoniano gli altri libri di cui invece ho parlato
bene. Lui non ha assolutamente fatto uno scivolone, è colpa mia se non ho saputo
apprezzarlo.
E poi c’è sempre la
possibilità che io abbia veramente
qualcosa che non va.
Il Lettore
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