Pensavo fosse un romanzo e al secondo capitolo, quando
salta improvvisamente di palo in frasca, non ci stavo capendo più nulla. Poi ho
scoperto che Tipi non comuni non è un
romanzo ma una raccolta di racconti.
Tutto questo perché ho
cominciato a leggerlo senza informarmi prima ma incuriosito soltanto dal nome
dell’autore. E che nome! Una persona che nei primi tempi mi era sembrata leggermente
antipatica, ma che dopo aver visto Forrest
Gump (che con la complicità del mio bimbo — al quale è piaciuto molto — mi
sono sorbito almeno una decina di volte), è diventato uno dei miei attori
preferiti i cui films sono da
guardare a scatola chiusa.
Ebbene sì, ora si è messo a
scrivere anche il pluri-oscariato Tom Hanks.
Dopo essere morto di Aids come Andrew,
dopo aver impersonato il diversamente intelligente Forrest, dopo essere precipitato su un’isola deserta come Chuck, dopo essere riuscito a rientrare
sulla terra da Jim per finire abbandonato
in un aeroporto da Viktor, aver
fatto da balia a Leonardo di Caprio
e aver impersonato anche il dottor Robert
Langdon, dopo aver salvato centinaia di persone nei panni di Sully, ora si è messo a scrivere.
Quando uno si è già divertito
a fare l’attore, il regista, lo sceneggiatore e il produttore, non gli resta
altro che crearsi da solo le storie da tramutare in film.
E devo dire che ha scritto
questi racconti anche molto bene,
con una prosa semplice e azzeccata, senza alcun manierismo arzigogolato da
scrittore da concorsi letterari, lasciando libero sfogo alla fantasia per
quanto riguarda temi, protagonisti e ambientazioni.
Si passa da giovani coppie in
crisi ad astronauti fai-da-te, da romantiche scrittrici sull’orlo della
depressione a figli con mamme realizzate e iperattive, spaziando alla grande sui
luoghi e sulle contestualizzazioni.
Il filo comune che lega i
racconti è che in ognuno vengono in qualche modo tirate in ballo le macchine da scrivere. Una o più di una,
come solo accenno o da protagoniste, questi attrezzi ormai non più necessari
vengono trasformati nei personaggi di un mondo sorpassato ma per il quale
ancora si prova della nostalgia se non un attaccamento difficile da sradicare.
Racconti simpatici,
leggibilissimi, ma che non rientrano nel novero dei racconti che preferisco per
due aspetti importanti: il primo è che a me piacciono soprattutto le storie con
un plot finale, un sia pur minimo
colpo di scena che spiazzi il lettore, e invece queste hanno un tono vagamente minimalistico, cioè inquadrano un
aspetto circoscritto di una situazione nel suo evolversi. Il secondo è che le
contestualizzazioni sono tipicamente americane,
con modi di fare, usi consolidati e abitudini proprie del sistema di vita
statunitense che trovano poco riscontro nelle varie altre parti del mondo.
Dobbiamo fargliene una colpa?
Assolutamente no! Del resto se uno è nato, cresciuto e si è realizzato alla
grande negli Stati Uniti buon per lui. Il minimalismo l’hanno consacrato lì così
come l’obesità adolescenziale e non sarò certo io, da buon italiano
provincialotto, a dire che sono esempi da non seguire. E del resto Tom Hanks è sempre riuscito perfettamente
ad incarnare l’americano medio.
Dei suoi ultimi films mi è rimasto da vedere Sully, in cui dà mostra della fulminea
capacità decisionale dell’anzianotto pilota che è atterrato senza motori in
pieno fiume Hudson nel bel mezzo di New York salvando l’aereo insieme a tutti i
suoi occupanti. Vicenda da eroe anche questa tipicamente americana. Ma sono
convinto che ne devono aver fatto un bel film.
Su Netflix o qualcosa di simile lo troverò senz’altro.
Il Lettore
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