martedì 3 aprile 2018

Tipi non comuni


Pensavo fosse un romanzo e al secondo capitolo, quando salta improvvisamente di palo in frasca, non ci stavo capendo più nulla. Poi ho scoperto che Tipi non comuni non è un romanzo ma una raccolta di racconti.
Tutto questo perché ho cominciato a leggerlo senza informarmi prima ma incuriosito soltanto dal nome dell’autore. E che nome! Una persona che nei primi tempi mi era sembrata leggermente antipatica, ma che dopo aver visto Forrest Gump (che con la complicità del mio bimbo — al quale è piaciuto molto — mi sono sorbito almeno una decina di volte), è diventato uno dei miei attori preferiti i cui films sono da guardare a scatola chiusa.
Ebbene sì, ora si è messo a scrivere anche il pluri-oscariato Tom Hanks. Dopo essere morto di Aids come Andrew, dopo aver impersonato il diversamente intelligente Forrest, dopo essere precipitato su un’isola deserta come Chuck, dopo essere riuscito a rientrare sulla terra da Jim per finire abbandonato in un aeroporto da Viktor, aver fatto da balia a Leonardo di Caprio e aver impersonato anche il dottor Robert Langdon, dopo aver salvato centinaia di persone nei panni di Sully, ora si è messo a scrivere.
Quando uno si è già divertito a fare l’attore, il regista, lo sceneggiatore e il produttore, non gli resta altro che crearsi da solo le storie da tramutare in film.



E devo dire che ha scritto questi racconti anche molto bene, con una prosa semplice e azzeccata, senza alcun manierismo arzigogolato da scrittore da concorsi letterari, lasciando libero sfogo alla fantasia per quanto riguarda temi, protagonisti e ambientazioni.
Si passa da giovani coppie in crisi ad astronauti fai-da-te, da romantiche scrittrici sull’orlo della depressione a figli con mamme realizzate e iperattive, spaziando alla grande sui luoghi e sulle contestualizzazioni.
Il filo comune che lega i racconti è che in ognuno vengono in qualche modo tirate in ballo le macchine da scrivere. Una o più di una, come solo accenno o da protagoniste, questi attrezzi ormai non più necessari vengono trasformati nei personaggi di un mondo sorpassato ma per il quale ancora si prova della nostalgia se non un attaccamento difficile da sradicare.
Racconti simpatici, leggibilissimi, ma che non rientrano nel novero dei racconti che preferisco per due aspetti importanti: il primo è che a me piacciono soprattutto le storie con un plot finale, un sia pur minimo colpo di scena che spiazzi il lettore, e invece queste hanno un tono vagamente minimalistico, cioè inquadrano un aspetto circoscritto di una situazione nel suo evolversi. Il secondo è che le contestualizzazioni sono tipicamente americane, con modi di fare, usi consolidati e abitudini proprie del sistema di vita statunitense che trovano poco riscontro nelle varie altre parti del mondo.
Dobbiamo fargliene una colpa? Assolutamente no! Del resto se uno è nato, cresciuto e si è realizzato alla grande negli Stati Uniti buon per lui. Il minimalismo l’hanno consacrato lì così come l’obesità adolescenziale e non sarò certo io, da buon italiano provincialotto, a dire che sono esempi da non seguire. E del resto Tom Hanks è sempre riuscito perfettamente ad incarnare l’americano medio.
Dei suoi ultimi films mi è rimasto da vedere Sully, in cui dà mostra della fulminea capacità decisionale dell’anzianotto pilota che è atterrato senza motori in pieno fiume Hudson nel bel mezzo di New York salvando l’aereo insieme a tutti i suoi occupanti. Vicenda da eroe anche questa tipicamente americana. Ma sono convinto che ne devono aver fatto un bel film. Su Netflix o qualcosa di simile lo troverò senz’altro.
Il Lettore 


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